La ricerca ASFOR-CFMT sull'engagement presentata su Harvard Business Review

La ricerca ASFOR-CFMT sull'engagement presentata su Harvard Business Review


Il presidente di Asfor Marco Vergeat, intervistato da Rosamaria Sarno nell'ambito del rapporto speciale Formazione manageriale 2021 , ha commentato i risultati della ricerca "Il nuovo volto dell’engagement”, promossa dall'Osservatorio Managerial Learning ASFOR -CFMT.  L'articolo, che vi  riproponiamo, è uscito sul  numero di luglio-agosto di  Harvard Business Review .

Il nuovo volto dell'engagement secondo un'indagine ASFOR-CFMT

Tra novembre 2020 e marzo 2021 Asfor, Associazione Italiana per la Formazione Manageriale e Cfmt hanno condotto la ricerca “Il nuovo volto dell’engagement”, coinvolgendo top manager, top executive, HR director, middle manager, giovani manager appartenenti ad aziende grandi, di medio-grandi dimensioni e piccolo-medie. Il primo importante elemento emerso è il calo dell’energia in azienda, una “stanchezza diffusa”.
L’impennata di energia ed engagement che aveva caratterizzato la fase del primo lockdown ha lasciato il posto a un’astenia psicologica. Il repentino, inaspettato e profondo cambiamento di ritmo, modalità e abitudini di vita, libertà date per scontate, ha determinato una percezione traumatica della fragilità e precarietà cui si è esposti.
A questo si accompagna l’inevitabile vissuto di incertezza verso il futuro, che toglie significatività e finalità all’agire presente.

Resistenza e resilienza
Nell’indicare l’accumulazione di energia e stress, “l’onda che sta per schiantarsi”, come qualcosa che non può essere ignorato, dai focus group emerge anche un elemento rilevante, ossia la differenza tra resistenza e resilienza.
Nella percezione delle persone, come di molte aziende, si confondono i due concetti, mentre c’è una profonda differenza: sulla lunga resistere affatica e scoraggia, la resistenza indica un opporsi al cambiamento, un tentativo di resistergli, mantenendo la posizione, al fine di evitare i cambiamenti e ripartire da dove si era.
La resilienza implica invece una presa d’atto consapevole del cambiamento e delle sue conseguenze, un “passo indietro” che consente una ripresa del cammino con motivazioni nuove e verso rinnovate rotte e finalità. Sono resilienti le imprese e le persone che sfruttano il cambiamento per ripensarsi.
Ma che tipo di formazione può essere utile ed efficace per i manager perché siano resilienti e, inoltre, capaci di trasmettere ai propri team la volontà e la forza per vivere il cambiamento in modo attivo e con nuove energie?
Lo abbiamo chiesto a Marco Vergeat, presidente di Asfor, che ha guidato il team di ricerca e ha redatto il rapporto conclusivo.

“La resilienza corrisponde a una ristrutturazione cognitiva, valoriale e affettiva del dolore provocato da un trauma, da una perdita, da una forte delusione. Sono soggetti resilienti coloro i quali non solo riescono a metabolizzare l’impatto delle avversità, ma ne traggono anche nuovo slancio. Si resiste all’emergenza, ma la resilienza richiede una presa d’atto che il cambiamento è inevitabile e definitivo. Si migliora la propria resilienza attraverso l’esperienza ma anche coltivando la propria capacità riflessiva e intellettuale, nonché il senso dei valori, il senso di sé e di ciò che ci lega agli altri. La formazione che serve ai manager deve puntare a sviluppare capacità ‘affilate’ di lettura e comprensione della realtà e del cambiamento, ma deve anche saper ispirare nuovi orizzonti di scopo che abbiano un senso per sé e per gli altri e che alimentino la speranza di nuove possibilità”, osserva Vergeat. “Una formazione, quindi, che mobilita le energie perché ‘apre’ verso nuove prospettive di valore, sollecita le persone a generare idee, soluzioni e culture utili per migliorare il mondo intorno a loro, e non solo per adattarsi a esso”.

Come liberare nuove energie

Sollecitati a individuare modalità per liberare nuovamente l’energia necessaria per sviluppare l’engagement, i partecipanti ai focus group si sono focalizzati su alcuni fattori collegati a bisogni che assumono nuova e più intensa priorità a causa del distanziamento fisico e sociale, dell’isolamento, determinato dal working from home:

  • riconoscimento del singolo, che significa valorizzare il raggiungimento dei risultati anche a distanza, avendo maggior cura di considerare caratteristiche, vincoli e potenzialità della persona, ovvero guardando con più attenzione alle esigenze, ai problemi, alle aspirazioni di ciascuno;
  • solidarietà, vicinanza e collaborazione fra colleghi, incentivata anche da momenti di “socialità virtuale”;
  • chiarezza e trasparenza espresse dall’azienda in merito alla situazione, attraverso una comunicazione puntuale e costante anche sull’andamento del business, così da ridurre, per quanto possibile, la dimensione di incertezza e minacciosità del futuro di breve e medio periodo;
  • fiducia nella responsabilità delle persone, garantendo loro flessibilità e una certa libertà di scelta nella gestione del proprio tempo. Il remote working conferisce alle persone maggiore autonomia.

Ma come si configura il processo di responsabilizzazione in un contesto in cui è impossibile esercitare lo stesso livello di controllo che in presenza? La capacità di guidare le persone, orientandole alla logica del “conseguire” più che del “fare”, di focalizzarsi più sugli obiettivi/risultati che sui compiti, è fondamentale per lasciare i giusti gradi di autonomia e far sentire responsabili le persone. Viene meno la possibilità, da parte dei people manager, di considerare i collaboratori come “protesi” esecutive.
Dai focus group è emerso un fenomeno che intuitivamente si poteva dare per scontato: la pandemia ha rinforzato sia i comportamenti virtuosi di delega sia quelli orientati al comando e controllo.
Con quali modalità formative dovrebbero allora attivarsi le aziende per fare in modo che venga alimentata la fiducia, collante fondamentale della comunità ed elemento indispensabile per ottenere la coesione sociale e l’engagement che ne deriva? “La fiducia si radica e si mantiene nei contesti che sanno esprimere vera vicinanza e interesse per le persone, che sanno promuovere la collaborazione e non la competizione interna, che comunicano in modo chiaro e trasparente e soprattutto nei quali chi ha responsabilità di leadership sa dare l’esempio, mettendo in pratica ciò che dichiara. Questo è alla base della credibilità e la credibilità è alla base della fiducia”, afferma Vergeat. “La formazione può contribuire, aiutando i people leader a sviluppare il mindset e le competenze necessarie per esercitare autentico coinvolgimento e forte responsabilizzazione delle persone. Tutto ciò sembra facile ma non lo è affatto”.

Il profilo del leader post-pandemico

“Lo stile di leadership è un fattore determinante ai fini dell’engagement. Dal ‘paesaggio’ modificato dalla pandemia emerge, secondo la ricerca, la necessità di un leader con specifici connotati”, informa Vergeat.
Eccoli:

  • capacità di visione
  • impianto valoriale
  • solido mindset dinamico ed eco-riferito
  • chiarezza, efficacia e trasparenza nella comunicazione
  • empatia e inclinazione a creare legami e relazioni personali e informali
  • consapevolezza e autenticità
  • coinvolgimento, responsabilizzazione
  • capacità di valorizzare persone, team e comunità.

Ma, chiediamo al presidente Asfor, in questo difficile periodo i manager hanno acquisito la consapevolezza della necessità di “crescere” in termini di soft skill, che la gran parte delle ricerche indicano come fondamentali competenze per gestire la grande crisi, mettendo quindi al centro del motore della ripresa il sistema della formazione manageriale?
“Al momento l’investimento nella formazione manageriale rimane al di sotto delle necessità generate dagli enormi cambiamenti già in corso e che si profilano all’orizzonte”, ci spiega Vergeat. “La domanda dovrà evolvere e divenire più qualificata, così come l’offerta degli enti erogatori. Negli ultimi decenni, moltissimi programmi sono stati dedicati allo sviluppo delle soft skill, con risultati modesti. Qualcosa deve essere ripensato: le soft skill non possono essere sviluppate in astratto ma richiedono un mindset coerente di valori, consapevolezza di sé e capacità di regolarsi nei contesti specifici, di integrare ‘soft’ e ‘hard’ in funzione di un risultato”.