Ripensare il lavoro: tra fragilità, aspirazioni e ricerca di un nuovo equilibrio. Intervista a Marco Vergeat

Ripensare il lavoro: tra fragilità, aspirazioni e ricerca di un nuovo equilibrio. Intervista a Marco Vergeat

Nel numero di novembre-dicembre di formaFuturi, dedicato al mondo del lavoro, un'intervista con il presidente di Asfor, Marco Vergeat. A cura di Andrea Crocioni

 

In occasione del seminario “Verso un nuovo senso del lavoro”, organizzato da ASFOR e ISVI lo scorso 21 novembre a Milano, Marco Vergeat, Presidente di ASFOR, partendo dalle evidenze della ricerca “A cosa serve il lavoro oggi”, ha esplorato le contraddizioni del mercato del lavoro italiano. In questo dialogo cercheremo di approfondire come stia cambiando la percezione del lavoro e il suo significato nella vita delle persone.

In un’epoca di apparenti contraddizioni, il mercato del lavoro italiano registra numeri record, ma continua a scontrarsi con fragilità profonde: giovani e donne faticano a trovare stabilità, i salari restano congelati e l’inverno demografico “ridisegna” inevitabilmente le prospettive per le imprese. Di tutto questo si è discusso il 21 novembre all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, durante il seminario “Verso un nuovo senso del lavoro”, appuntamento organizzato da ASFOR e ISVI.

A ispirare il confronto i risultati della ricerca “A cosa serve il lavoro oggi – Persone e imprese tra aspettative e nuovi valori”. Le evidenze emerse dallo studio condotto da ASFOR e ISVI sono state raccolte in un volume – da cui il seminario ha mutuato il titolo – edito da EDUCatt e presentato proprio nell’occasione. Il volume unisce ai dati, riflessioni e contributi del mondo accademico, manageriale e imprenditoriale. Tuttavia, questo progetto non si ferma qui: è un percorso in divenire, pensato per analizzare come stia evolvendo la percezione che le persone hanno del lavoro, del suo significato e del suo ruolo nella vita. A guidarci tra i principali risultati di questo studio è Marco Vergeat, Presidente di ASFOR, che ci offre una prospettiva unica su un cambiamento cruciale, destinato a influenzare il futuro della società e delle imprese.

Presidente Vergeat, qual è la genesi della ricerca?

 La ricerca è frutto della collaborazione tra ASFOR e ISVI, ed è stata completata nel 2023. Normalmente, nel mese di novembre, organizziamo il nostro Leadership Learning Lab, ma quest’anno abbiamo deciso di posticiparlo per dare spazio a questa presentazione e al lancio del libro. Questo volume non contiene solo il rapporto della ricerca, ma anche gli interventi realizzati durante la presentazione dei risultati preliminari nel novembre dello scorso anno. È un libro che va oltre i numeri: esplora il significato del lavoro oggi, ed è un progetto che continuerà a evolversi con l’obiettivo di osservare le dinamiche del mercato nel tempo.

 Quali metodologie sono state utilizzate per condurre la ricerca?

La ricerca si basa su tre pilastri. Primo, l’analisi dei dati strutturali tratti da fonti ufficiali come Istat e Censis, che ci hanno permesso di delineare le dinamiche del mercato del lavoro. Secondo, una parte demoscopica, basata su un campione statisticamente significativo di oltre mille intervistati, che ci ha aiutato a indagare le aspettative delle persone verso il lavoro. Infine, abbiamo integrato il tutto con approfondimenti qualitativi, realizzati attraverso interviste in profondità e focus group. Questo approccio ci ha consentito di costruire una visione completa, dove numeri e percezioni si intrecciano.

 Quali dati emergono guardando al quadro strutturale del mercato del lavoro?

Ci troviamo in una situazione paradossale. Nel 2022, l’occupazione in Italia ha raggiunto un livello record, con 23,3 milioni di occupati, il dato più alto dal 1977. Questa tendenza positiva è proseguita nel 2023 e nel 2024, con un totale di 24 milioni di persone occupate. Tuttavia, il tasso di inattività è ancora altissimo, al 33%: siamo penultimi in Europa. Inoltre, ci sono criticità specifiche: la bassa partecipazione femminile al lavoro – solo il 55% delle donne tra i 20 e i 64 anni ha un’occupazione, contro il 69% della media europea – e l’alto numero di NEET, ovvero i giovani che non studiano e non lavorano, che, seppur in calo, rimangono al 16%, ben sopra l’11% della media europea.

Come si “distribuisce” questa occupazione e quali fragilità restano?

Il lavoro a tempo indeterminato sta crescendo, siamo arrivati a oltre 15 milioni di contratti. I contratti a termine e il lavoro autonomo sono in calo. Questo trend segnala una maggiore stabilità, ma non possiamo ignorare che ci sono ancora 5 milioni di persone in condizioni di lavoro instabile, tra contratti a termine, collaborazioni precarie e part-time. Queste forme di instabilità colpiscono soprattutto giovani e donne, le categorie sociali più vulnerabili. A ciò si aggiunge l’invecchiamento della popolazione attiva: i giovani tra i 15 e i 34 anni sono diminuiti del 6,5%, tra i 35 e 40 anni la flessione si attesta addirittura al 14,7%, mentre gli occupati tra i 50 e i 64 anni sono cresciuti di oltre il 40%.

Quali spunti emergono invece dalla parte demoscopica?

Una delle evidenze principali è il contrasto tra l’alta soddisfazione per il lavoro presente – dichiarata dall’82,3% degli intervistati – e una forte insoddisfazione per le prospettive future, che preoccupa il 55% degli intervistati. Questa ambivalenza evidenzia uno scollamento tra realtà e aspettative: le persone tendono a ridimensionare le loro ambizioni, “accontentandosi” di ciò che hanno. Inoltre, oggi i lavoratori desiderano lavorare meno e sono disposti a mettere da parte le prospettive di carriera o di maggiori guadagni. Per contro, gli aspetti immateriali, come la qualità delle relazioni con i colleghi, hanno acquisito una centralità che non si riscontrava in passato.

Quanto hanno influito su questo cambio di priorità la pandemia e la diffusione del remote working?

La pandemia è stata un punto di svolta. Ha spinto le persone a ribilanciare il valore del lavoro rispetto ad altri aspetti della vita, come affetti, tempo libero e passioni, con la consapevolezza che queste dimensioni non possono essere “rimandate”. Lo smart working ha dimostrato che conciliare esigenze personali e lavorative è possibile, anche se questo aspetto non è privo di complessità. Tutto ciò ha segnato una forte discontinuità rispetto al passato, cambiando il modo in cui le persone percepiscono il lavoro: non più al centro della vita, ma una delle sue tante componenti.

Quali altri fattori stanno influenzando la relazione tra le persone e il lavoro?

Lo spirito del tempo gioca un ruolo fondamentale. Viviamo in un contesto definito “BANI” – Brittle (Fragile), Anxious (Ansioso), Non-linear (Non lineare), Incomprehensible (Incomprensibile) – che alimenta sfiducia e rende il futuro un luogo carico di incertezze. Anche la tecnologia ha un impatto ambivalente: è indispensabile, ma virtualizza l’esperienza e le relazioni, riducendo il senso di appartenenza e rendendo il lavoro meno tangibile. In più l’iperconnessione, fenomeno caratterizzato dall’essere costantemente connessi attraverso strumenti tecnologici, social media e video call, porta a sottrarre tempo ed energia alla riflessione e all’approfondimento. In questo contesto, tutto diventa veloce, sommario e fugace, rendendo difficile dedicarsi a una comprensione profonda delle questioni e influendo negativamente sulla capacità di analisi e concentrazione. Infine, c’è una crescente difficoltà a “sostare”: le persone, specialmente i giovani, tendono a vedere ogni scelta come una rinuncia ad altre possibilità, preferendo legami deboli e opportunità flessibili.

In che modo queste dinamiche stanno cambiando il rapporto tra lavoratori e aziende?

Le distanze generazionali rappresentano uno dei fattori di influenza più significativi nel mondo del lavoro e non solo. Il modo di pensare e di agire della Generazione X e dei Baby Boomers differisce notevolmente da quello dei Millennials e della Generazione Z. La spiego così: oggi l’onere della prova rispetto al lavoro non è più solo sui lavoratori, ma anche sulle organizzazioni. Le nuove generazioni si aspettano che siano le aziende a dimostrare di essere luoghi che meritano il loro impegno, rispondendo ai loro valori e alle loro aspettative. Questo cambia profondamente le dinamiche di attrazione e retention dei talenti, mettendo le aziende di fronte a sfide nuove e complesse.

La vostra ricerca mette in luce una tensione tra il bisogno di visioni strategiche di lungo periodo e la difficoltà di tradurle in vantaggi concreti nel breve termine. Come pensate che il mercato del lavoro possa affrontare questa sfida e quali aspetti ritenete più urgenti da approfondire in futuro?

Da un lato, sentirsi parte di un progetto, di qualcosa che va oltre il proprio ruolo, risulta uno dei fattori motivanti più potenti: c’è un bisogno quasi di trascendenza, di fare qualcosa che abbia un impatto, che “conti” davvero. Dall’altro lato, però, molte persone tendono a fidarsi poco delle visioni a lungo termine. Questo accade perché spesso non vedono come queste si traducano in vantaggi tangibili nel breve periodo. Senza una ricaduta immediata e concreta, la fiducia nel futuro vacilla. Di conseguenza, prevale una logica più opportunistica: se arriva un’offerta migliore o più immediata, si tende a coglierla, anche a scapito di progetti di più ampio respiro. Questa tensione tra purpose e pragmatismo è una delle sfide principali che il mercato del lavoro deve affrontare, e che questa ricerca intende continuare a esplorare. Solo comprendendo meglio queste dinamiche potremo costruire modelli sostenibili, capaci di rispondere sia alle aspirazioni delle persone sia alle esigenze delle organizzazioni. La ricerca è solo all’inizio. Il nostro obiettivo è continuare a osservare e analizzare questi cambiamenti, per comprendere non solo le dinamiche del mercato del lavoro, ma anche il sistema di aspettative e valori delle persone. È un percorso in evoluzione. Invito tutti a leggere il nostro libro per approfondire i risultati e prepararci insieme alle sfide che ci attendono.

  Scarica le slide: presentazione ricerca Verso un nuovo senso del lavoro | a cura di Marco Vergeat, Presidente ASFOR

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