Allenare il pensiero pratico. Dialogo fra Marco Vergeat e Stefania Contesini

Allenare il pensiero pratico. Dialogo fra Marco Vergeat e Stefania Contesini

Nello speciale luglio-agosto di FormaFuturi, il magazine di cultura e formazione manageriale di Asfor e Apaform, il presidente di Asfor Marco Vergeat intervista Stefania Contesini, partendo dalle riflessioni contenute nel suo ultimo libro, intitolato “Allenare il pensiero pratico. Le competenze filosofiche per le persone e le organizzazioni”.

Il pensiero pratico è inteso da Stefania Contesini, nel suo ultimo libro, come una riflessione interna all’agire, un modo di essere presenti in ciò che si fa, per orientare le nostre decisioni e dare efficacia alle nostre azioni. Quattro sono le forme del pensiero “pratico”: pensiero critico, creativo, affettivo-relazionale ed etico. Esse ci supportano nel definire e orientare i nostri scopi, come singoli e come organizzazioni di lavoro nel migliorare la nostra comprensione in merito a ciò che sappiamo e sappiamo fare, a come lo facciamo, con quali intenzioni e conseguenze. Ci mostrano inoltre come il nostro mondo affettivo influenza il pensiero, i giudizi e i comportamenti e il modo di relazionarci con gli altri. Ci interrogano su come prendiamo le nostre decisioni e da quali criteri ci facciamo influenzare e ispirare e, infine, ci guidano nell’immaginare un cambiamento possibile per provare a superare limiti e criticità del presente. Il testo si propone di esplorare e risignificare, facendo tesoro della tradizione filosofica, queste competenze e si propone anche di offrire metodi e strumenti per il loro allenamento. 

Quali sono i destinatari privilegiati del suo libro? A chi ha pensato di comunicare quando l’ha scritto?
Il libro è rivolto a tutti coloro che sono interessati a esplorare il ruolo del pensiero e a capire come migliorarlo nelle sue diverse forme, nei contesti di lavoro e in tutte le situazioni in cui si tratta di gestire situazioni complesse.
In via privilegiata, tuttavia, è rivolto a coloro che operano nei contesti organizzativi con ruoli gestionali e con potere decisionale. Destinatari sono anche consulenti in impresa, formatori e laureati in filosofia che vogliono capire come questa può essere valorizzata in impresa.

Il titolo del libro, “Allenare il pensiero pratico”, fa pensare a qualcosa di molto pragmatico. Il sottotitolo è “Le competenze filosofiche per le persone e le organizzazioni”. A un primo sguardo titolo e sottotitolo sembrano in contraddizione. Qual è il messaggio fondamentale che vuole comunicare?
Contrariamente alla vulgata che considera la filosofia qualcosa di astratto, lontano dai problemi e dalla vita delle persone, essa da sempre, oltre a occuparsi di questioni più generali e speculative, ha mantenuto viva una vocazione pratica e trasformativa. In questo libro, più di ogni cosa, ho voluto mettere in evidenza la concretezza del pensiero filosofico, ovvero quel pensiero in grado di guidarci in modo rigoroso,  mai vago e capace di autocorreggersi,  in tutte le occasioni in cui è importante fare chiarezza su: come agiamo, come prendiamo le nostre decisioni, come interpretiamo la realtà, in che cosa crediamo, come ci relazioniamo con noi stessi e con gli altri, come definiamo le nostre priorità in funzione dei nostri scopi. Il pensiero è pratico perché il suo fine è direzionare, potenziare e migliorare il nostro agire. Non c’è, in questo senso, alcuna contraddizione tra le due diciture “pensiero pratico” e “competenze filosofiche”.

Nel libro lei descrive qLeuattro tipologie di pensiero che insieme costituiscono il pensiero pratico. Ci vuole dare qualche cenno in più di queste quattro tipologie: pensiero critico, creativo, emotivo-relazionale ed etico?
Ho scelto di approfondire queste quattro forme del pensiero perché tutte insieme, in modo interdipendente, presidiano le attività più importanti che svolgiamo quotidianamente: comprendere, noi stessi e la realtà, relazionarci con gli altri, valutare, scegliere e prendere posizione nelle diverse situazioni in cui operiamo.
Ma c’è una ragione ulteriore per questa scelta. Queste sono anche competenze che le organizzazioni dicono di considerare importanti per la propria prosperità e il proprio successo. Approfondirle mi è sembrato un buon modo per creare un ponte tra filosofia e impresa. In particolare, ha voluto dire interrogarsi filosoficamente sul loro significato, sui loro usi e scopi, non sempre chiari e condivisi. Il mio obiettivo è stato fin dal principio non limitarsi a definirle, come spesso accade nei repertori di competenze, ma mostrare come queste possono essere messe in pratica e attraverso quali passaggi: il “come fare” aiuta a dare concretezza “al che cosa sono”. Allora si scopre che il pensiero critico, non di rado in cima alla classifica delle soft skills richieste dalle aziende, non consiste solo nel fare un’analisi delle fonti informative e della loro correttezza, e nemmeno riguarda unicamente la consapevolezza dei nostri bias, ma è anche molto altro, ovvero ci permette di formulare buoni giudizi e rifuggire da quelli cattivi. Si scopre che il mondo emotivo non solo è intrecciato con quello cognitivo, ma che la ragione riflessiva ci permette di comprenderlo e magari trasformarlo, senza per questo sottomettersi a facili formule che pretendono di gestire le emozioni unicamente in funzione dell’utilità e del successo. Si scopre che la creatività, intesa come immaginazione è la chiave per realizzare realtà più sostenibili e vivibili. Che l’etica non è la morale, ovvero semplicemente l’ethos in cui viviamo, la cultura organizzativa nella quale siamo immersi, ma il modo con cui possiamo valutare, attraverso criteri rigorosi questo stesso ethos, in funzione di un suo miglioramento.